"ECOLOGIA E IMPRESA NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA"

AA.VV. La responsabilità sociale dell’impresa nella Dottrina sociale dell’impresa, Franco Angeli, Bologna 2009


Introduzione
Sono molte le imprese che hanno posto in atto interventi migliorativi, spesso sotto la pressione di fattori contingenti (opportunità com­merciali, prescrizioni di legge, pressioni della cittadinanza, dei clienti, ecc.). Tali iniziative sembrano disorganiche perché frutto, talora, di improvvisazione, di pressioni esterne, o della buona vo­lontà del singolo imprenditore. Inoltre, sono spesso funzionali alla soluzione di emergenze, derivate dalla scarsa consi­derazione degli aspetti ambientali fino ad oggi espressa dai soggetti pubblici e pri­vati.
   Del resto un approccio passivo da parte dell'impresa alla problematica ambientale si è dimostrato poco efficace e con alti costi, con interventi più di contenimento che volti alla risoluzione dei problemi.
Per uscire da questa situazione penalizzante, un numero sempre più elevato di imprenditori ha adottato un approccio attivo che consiste nel considerare la salvaguardia dell'ambiente una variabile strategica per la crescita dell'impresa stessa. È l’inizio di un’Integrazione tra mercato e tutela ambientale, ricorrendo alla collaborazione tra imprese e consumatori, rendendo "conveniente" la tutela ambientale, attraverso lo stimolo ad un nuovo orientamento dei consumatori (che premia, appunto, le attività ecocompatibili).   Significa vedere la tutela ambientale come nuova opportunità economica e considerare gli standard ambientali come "matrice di innovazione" e non come vincolo . La qualità ambientale sta infatti diventando un fattore di competizione tra sistemi territoriali e sul mercato globale. La sfida della qua­lità ambientale investe i prodotti, i processi produttivi ed i territori ed è la sfida che bisogna vincere per conseguire la sostenibilità dello sviluppo .
   Questa sfida esige dai managers di privilegiare sia la prevenzione che il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali per acquisire vantaggi competitivi, un contenimento dei costi e la riduzione dei rischi e delle passività ambientali.
Si possono identificare quattro princi­pali tipologie di aziende, a seconda di co­me queste si pongono nei confronti del­le tematiche ambientali e dell'ecosistema.
Vi sono aziende che vivono l'ambien­te ancora come un pericolo e che non ri­spettano nemmeno le normative vigen­ti e operano di fatto e  volutamente al di fuori della legalità. La responsabilità ecologica e i vari strumenti, per es. la certificazione, diventano una maschera che copre anche pratiche grave­mente irresponsabili di grandi società, un velo per abbellire le proprie operazioni, sotto il quale gli affari continuano come prima. Definita un ramo delle pub­bliche relazioni rischia di divenire un modo di «addobbare la vetrina» (window dressing); di «dipingere di verde »(greenwashing) l'impresa, ovviamente per far sembrare le sue attività ecocompatibili; oppure di «ammantarla di blu» (blue­washing) .
 È chiaro che la determinazione ambientale di una singola azienda o anche di una sola na­zione appare totalmente insufficiente e ineffi­cace. Occorre sempre più una sinergia e una co­determinazione globale.
Una seconda categoria è quella in cui l'attenzione dell'impresa è volta al rag­giungimento degli obiettivi minimi fis­sati dalla normativa vigente piú che al­la ricerca di metodologie di lavoro e at­trezzature a minore impatto ambientale. In questo caso le procedure interne azien­dali prevedono che, per minimizzare gli effetti nocivi creati dalla loro attività pro­duttiva, vengano autorizzati esclusiva­mente gli investimenti di adeguamento agli obblighi di legge. Sono principal­mente aziende manifatturiere che, se non riescono a reggere la concorrenza, ad esempio dell'Estremo Oriente, identifi­cano la causa della loro crisi nei minori "costi ambientali" a carico dei concor­renti. Sarebbero quindi attratte dall'idea di delocalizzare la loro produzione in questi Paesi, anche se non sempre lo fan­no.
Vi sono, in terzo luogo, aziende che si pongono, inve­ce, in modo propositivo nei confronti del­le tematiche ambientali e sono pronte a sostenerne i costi, consapevoli che que­sta scelta se, nel breve termine, può met­terle in una posizione di svantaggio com­petitivo nei confronti di concorrenti me­no attente all'ambiente, nel lungo termi­ne produrrà importanti ricadute positi­ve.
All'ultima ca­tegoria apparten­gono imprese che fanno delle politi­che sostenibili un elemento della propria mission, senza il quale non avrebbe senso la loro stessa attività .
Tre possono essere le variabili che por­tano un'impresa a collocarsi in una di queste quattro categorie: la legislazione e il ruolo della politica al­l'interno del quale l'impresa si trova ad operare, i valori e la  cultura dell’impresa; infine le forze di mercato. la possibilità cioè del consuma­tore di premiare o di punire un'impresa, favorendo, nel rapporto cliente-fornitore, la diffusione di una cultura della pre­venzione lungo tutta la filiera e nei diversi sistemi sociali (cittadini, au­torità locali, organi di comunicazione…).
In primo luogo l’attenzione va focalizzata sulla variabile culturale  e sul concetto di sviluppo sostenibile, in secondo luogo si prendono in considerazione alcuni strumenti disponibili per affrontare la sfida, che esige, in un terzo momento, di essere collocata nel contesto di politiche ambientali integrate.

Per una cultura sostenibile d’impresa

Si tratta prima di tutto di una sfida culturale che im­plica l'assunzione volontaria della re­sponsabilità ambientale . Attraverso que­sto atto le imprese si impegnano a creare valore attraverso pratiche che integrano i tradizionali obiettivi economici con gli obiettivi di protezione ambientale. Va individuato un nuovo paradigma ge­stionale in grado di coniugare l'efficienza economica con l'efficienza ambientale, cam­biando le modalità di fare business, ripen­sando i prodotti e i processi, migliorando i modelli organizzativi.
E’ fondamentale che l'attenzione socio-ambientale diventi un valore intrinseco della cultura d’impresa in modo da guidare le strategie i progetti e i comportamenti, nella consapevolezza che la responsa­bilità ambientale ha un impatto economi­co diretto, perché rappresenta una varia­bile strategica che favorisce il posiziona­mento competitivo di lungo periodo. un'opportu­nità di ridurre molti costi, sia tangibili che intangibili.
L'adesione al­la responsabilità ambientale come elemento della cultura dell'impresa viene spesso oggettivata in un codice etico e si riflette nello stile manageriale adot­tato. Uno stile che riflette una realtà dinamica, pro-attiva, aperta ver­so l'esterno e, come tale, attenta agli input che provengono dal ambiente/realtà in cui opera. L’impresa sostenibile diventa così un sog­getto che interagisce con la realtà sociale, culturale, istituzionale e ambientale nella quale è inserita, assumendo una rile­vanza socio-politica oltre che economica: si confronta con le istanze dei diversi interlocutori presenti nel sistema.
La dottrina sociale della chiesa contribuisce in modo originale a formare tale cultura in cui l’impresa può trovare una coerenza “ecologica” e permettere così all’individuo e a gruppi, dentro la struttura organizzativa, l’opportunità di praticare reale innovazione e cambiamento .
 La DSC come discernimento teologico dell’esperienza sociale si chiede innanzitutto quali valori le imprese promuovono, valorizza i segni di speranza e indica il bisogno di un nuovo ethos, che abbracci tutte le dimensioni dell’umano che ha nell’ambiente naturale la sua dimora .
L’apporto della riflessione teologica alla cultura dell’impresa risponde  al bisogno di un approccio globale all'ambiente che vada oltre l'eco-efficienza . La sua convinzione di fondo è che gli esseri umani sono chiamati da Dio ad essere responsabili della creazione come “amministratori” e “custodi del giardino” a loro affidato .
L'eco-efficienza rappresenta solo una ri­sposta parziale al problema ambientale, perché utilizza le stesse categorie di pen­siero che lo hanno generato. Infatti, l'in­tegrazione dell'efficienza economica con l'efficienza ambientale risponde al mede­simo criterio di massimizzazione dei ri­sultati, realizzati attraverso una diminu­zione o dei costi di produzione e/o del­1'utilizzo di risorse naturali ed energetiche.
Si rende necessario definire un nuo­vo quadro concettuale all'interno del qua­le delineare un approccio globale al pro­blema ambientale che individui il ruolo dei diversi attori coinvolti e le azioni inter­medie da intraprendere per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, un approccio, come afferma la Centesimus Annus, che tenga conto delle «condizioni morali di un 'autentica ecologia umana "(n.38).'. L’enciclica parla di “ecologia umana” nel significato di “ambiente vitale complesso e complessivo” ossia luogo di umanizzazione mediante l’agire umano volto alla produzione di beni e alla custodia dell’ambiente. L’ambiente è inteso come luogo comunicativo, dove l’uomo produce relazioni ed interagisce con il territorio e gli altri attori sociali ed  economici sempre dentro un contesto culturale e di senso. L’ambiente non è inteso solo come fisico o “ecologico” in senso comune, ma come il luogo dove si producono beni materiali e si entra in relazione, e in cui si dà il senso umano della vita. Ne deriva quindi la necessità di dare “la  debita attenzione ad “un’ecologia sociale” del lavoro”(n.38) e della sua organizzazione che è l’impresa. Diventa necessaria una visione più complessa del fine dell’impresa, visione che integra l’utilità economica, la coscienza individuale e la responsabilità sociale ed ecologica, promuovendo un tipo di impresa equilibrata. La crescita economica va “fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane”(n.33).
Al fondo dell’ irrazionalità ecologica che si manifesta negli sprechi e distruzione di risorse naturali v'è una cultura economica, e una metodologia di bilancio delle imprese, che ancor oggi, dopo due secoli, non assegna alcun valore ai servizi che la biosfera fornisce all'economia, o ritiene che essi possano continuare ad esseri forniti indefinitamente senza bisogno di rigenerarne il ciclo .
Lo stesso capitalismo comincia ad avvertire, perfino sul piano ecologico, la necessità di passare ad un sistema di regolazione piú sostenibile. Il problema è individuato da un giurista americano in questi termini: «La radice del problema è la struttura stessa del­la società per azioni. La sua struttura legale incoraggia i manager a massimizzare il prezzo delle azioni a breve termine, e lo fa limitando la loro libertà di agire re­sponsabilmente e moralmente. Il risultato è un com­portamento immorale. Tale comportamento non serve al miglior interesse di nessuno e ha effetti specialmen­te perniciosi sui gruppi estranei alla struttura societaria tradizionalmente intesa, il che vuol dire tutti quelli che non fanno pàrte degli azionisti o dei manager» .
Cosí definita, l’impresa, oltre a imporre alla collettività elevati costi umani e ambientali, in realtà finisce per non massimizzare nemmeno il valore per gli azionisti a lungo termine. Inoltre rischia di compromettere il pro­prio stesso futuro e quello delle generazioni a venire.
La Dottrina sociale della Chiesa porta la riflessione intorno al significato e al valore dell’impresa. La riflessione sul significato si evidenzia soprattutto nei momenti di crisi di un modello di sviluppo insostenibile e di un sistema di produzione autoreferenziale. Allora più impellenti si presentano queste domande: che cosa è andato sbagliato? Quale tipo di progetto motiverà la nostra impresa? Tale fase riflessiva interessa la formazione della nostra identità: chi veramente voglio essere come persona? Quale tipo di impresa noi vogliamo essere?
 Se la produzione non si orienta ad un senso ulteriore, essa giunge a negare la verità dell’umano poiché lo chiude  in un momento parziale e minaccia continuamente la bellezza del creato: lo riduce a materiale da sfruttare, compromettendo la stessa bontà dell’operare sminuito ad un incremento esclusivo dell’avere.
Per questa ragione Giovanni Paolo II connette la distruzione dell’ambiente allo stile di vita consumistico: ”Egualmente preoccupante è la questione ecologica che accompagna il problema del consumismo e che è strettamente connessa. In questo desiderio di avere e di godere piuttosto che di essere e di crescere, l’uomo consuma le risorse della terra e la sua vita in un eccessivo e disordinato modo”(Centesimus Annus n. 37). L’enciclica richiama implicitamente la visione biblica: quando sul mondo si posa lo "sguardo avido” (epithymia) ed il disegno della Creazione è stravolto, allora la terra produrrà solo "spine e cardi" (Gen. 3,18). Là dove l'uomo riduce l'esperienza del mondo alle dimensioni di una cava di materiali da sfruttare, la finitezza mortale diventa l'esito ineluttabile dell’opera umana.
   Il desiderio di avere e di possedere sempre di più spinge l'uomo a consumare in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Con ragione, perciò, il papa può affermare che «alla radice dell'insensata distruzione dell'ambiente naturale c'è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo» ( n.37).
Infatti “fu volontà del creatore che l’uomo comunichi con la natura come un intelligente e nobile custode e signore, e non come un distruttore e sfruttatore”(Redemptor Hominis n.15).
Proprio perché le risorse naturali sono per l’uomo, esse non sono semplicemente un dato, ma un dono. L’uomo credente si autocomprende non come “padrone” del cosmo ma come il custode di una realtà donata da un Altro, cioè creata, come mondo di Dio.
   Questo processo di riflessione intorno al significato dell’ambiente e del lavoro umano ha la natura di una  riflessione non tanto sull’uso ottimo dei mezzi (ecoefficenza), ma piuttosto sul senso delle nostre preferenze.
    C’è bisogno di un’immaginazione morale per formare una nuova visione del futuro e quindi un differente ordine di preferenze, che colga nella responsabilità ecologica non solo un vantaggio strategico ma un senso per l’agire economico stesso.   
   La crisi ecologica dell’esistente ordine delle preferenze priva il soggetto calcolante della sua presa sulla situazione . In ordine a restaurare la sua identità e la prospettiva del futuro, il soggetto deve essere capace di riscoprire  un soggiacente e forse represso sistema di valore. Questa più profonda connessione al valore dell’ambiente come dimora dell’uomo  non è solo una scelta razionale nel senso di un’analisi costi-benefici. E’ una scelta nel senso di un’interiore conversione e impegno. La differenza tra impegno e scelta razionale è illustrata da Sen in questi termini. “Se la conoscenza della tortura di altri ti fa soffrire, è un caso di simpatia, se non ti fa personalmente sentire peggio, ma tu pensi che è sbagliata e sei pronto a fare qualcosa per fermarla, è un caso di impegno” . Dentro la struttura della scelta razionale, l’azione è pensata in termini strumentali, in funzione della realizzazione della propria preferenza. Nel caso dell’impegno l’azione non è più strumentale. Uno che amministra le risorse naturali come un dono da custodire fa ciò per amore della giustizia verso le generazioni umane, non primariamente come un mezzo per un fine estrinseco come lo sviluppo economico o la felicità personale o il prestigio. In altri termini l’impegno è diretto all’identità, il modo di essere, mentre la soddisfazione della preferenza tende ad un vantaggio .
   Quando il significato è integrato come una componente del pensiero e dell’azione economica, l’homo oeconomicus acquisisce un profilo personalistico. Il soggetto economico è allora riconosciuto nella sua attività economica come un cercatore di significato, significato non relegato entro i confini del momento "privato" della vita, ma scoperto nell’attività produttiva stessa come sua verità intrinseca.  La natura allora non diventa solo indispensabile e utile per la sopravvivenza, ma può essere riconosciuta quale teatro della mia vita, attraverso il quale risuona un messaggio a me rivolto, un messaggio che interpella appunto la mia libertà. Ne consegue  che il rispetto della natura non può riguardare un preteso ordine naturale definito oggettivisticamente a prescindere dalla mia persona, ma deve corrispondere  alla effettiva  percezione, nell’ambiente naturale, di una promessa, di un dono, e dunque del comandamento che Dio attraverso la sua opera creaturale mi rivolge. E l’assoggettamento della terra al bisogno dell’uomo e alla sua attività di produzione, assai prima di essere pensato come un compito, è riconosciuto dall’uomo come un fatto sorprendente, una rivelazione del destino promettente della vita a lui dischiuso, rivelazione insieme di Dio e dell’uomo .
L’ atteggiamenti di fondo enunciato permette di fondare una cultura d’impresa dove la responsabilità ecologica si concretizza nelle strategie di cambiamento articolate in regole concrete . Le norme d’azione non potranno essere elaborate che a partire dai valori su cui c’è consenso, e determinano delle priorità tra i diversi beni e interessi dell’impresa in conflitto . L’istanza finale, mediata dalle conoscenze empiriche disponibili, non può trovarsi se non nel senso fondamentale che l’uomo dà alla sua vita e negli atteggiamenti e norme che ne derivano e devono animare le culture delle imprese .
 In questa visione della cultura d’impresa che sorge dalle convinzioni profonde delle persone e si esprime nel consenso su valori, partecipati nell’organizzazione e sostenuti dalle regole del sistema di mercato, i diversi livelli micro meso e macro non si possono separare né identificare. La responsabilità dell’impresa non può essere scaricata sugli altri livelli, ma neppure può essere pensata e realizzata a prescindere da essi .

Sviluppo sostenibile ed ecoefficienza

L’approccio globale all’ambiente come dimora del senso della vita e casa dell’uomo deve ispirare le varie culture d’impresa e la loro sensibilità all’ecoefficienza in vista di uno sviluppo sostenibile. La dimensione ecologica non è da considerarsi soltanto come aspetto aggiuntivo o di disturbo di uno sviluppo concepito soprattutto in chiave quantitativa, ma l’idea dello sviluppo stesso deve contenere fin dall’inizio la considerazione del legame intrinseco fra la dimensione ecologica, socioculturale ed economica.
Si tratta di uno sviluppo attento ad amministrare le risorse naturali e a dirigere la crescita in modo che non ecceda i limiti di riproducibilità delle risorse e degli ecosistemi: la «limitazione delle risorse naturali e non più rinnovabili…è un problema serio per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future»(Sollecitudo Rei Socialis n.34).
Il che non significa rinunciare a cercare il benessere e la vita per gli uomini e le donne, ma concretizzare in uno sviluppo creativo il criterio della giustizia, anche intergenerazionale . Ciò può avvenire se si chiarisce il rapporto  tra sviluppo economico e ambiente meno inquinato, ricercando la sintesi e l’equilibrio dei diversi modi in cui si configura  l’orientamento dell’impresa all’ambiente: sfruttamento e risparmio, innovare e conservare, fabbricare e eliminare. “Quelli che sono già ricchi sono legati ad accettare una benessere materiale minore, con meno sprechi, per evitare la distruzione dell’eredità che essi sono obbligati dalla giustizia assoluta a partecipare con tutti gli altri membri della razza umana” .
Si tratta di superare in primo luogo la proprietà piú antiecologica che esista del modo di produzione del capitalismo moderno: lo spreco. Spreco di energia, di materie prime non rinnovabili, di risorse della biosfe­ra . In questo impegno, la tecnologia diventa una grande alleata dell'ambiente e già og­gi è in grado di dare delle risposte positi­ve e innovative che tutelano l'ambiente. La condizione è che le tecnologie della produzione siano gestire dall’impresa nel quadro di una "economia della cura", che tenga saldo il valore dell'esistente, ben prima di protendersi verso la novità di una trasmutazione quasi messianica. L'innovazione tecnica non si trova certo opposta alla cura dell'ambiente, ma piuttosto diviene condizione di possibilità della sua realizzazione e strumento di un vivente umano che abita la propria casa .
L’ecoefficienza è la risposta parziale ma appropriata alle tecnologie, risposta che le imprese sono chiamate ad elaborare per affrontare la sfida dello sviluppo sosteni­bile: significa "fare di piú con meno", cioè produrre gli stessi be­ni e servizi utilizzando meno risorse na­turali, attraverso una maggiore efficienza, sia nell'uso di energia e delle materie pri­me che nella riduzione delle emissioni di sostanze nocive e della produzione di ri­fiuti .
In questo contesto si può intendere la «dematerializzazione» portata avanti dalla teoria della decrescita economica, che si inserisce in una più generale critica al modello occidentale di sviluppo . Che cosa si vuole realmente far dimi­nuire? La dematerializzazione è intesa come riduzione della quantità di materia ed energia per unità di bene .
Questo parametro è declinabile però non solo in termini di dematerializzazione relativa ad una singola unità di bene, ma anche in termini di riduzione della quantità totale di materia ed energia utiliz­zate per produrre tutti i beni che servono al funzionamento di una società (dematerializzazione a livello di un intero sistema, detta anche «assoluta» ). Ad esempio, non si tratta solo di usare meno rame per un singolo motore elet­trico, ma di ridurre la quantità totale di rame estratto nel mondo.
Un modo per abbassare il costo unitario è quello di utilizzare più tecnologia e meno risorse fisiche. Le imprese hanno perseguito questa meta in modo ampio. Ad esempio, le auto pesano molto meno di un tempo, per rendere più bassi i costi di costruzione e di esercizio del mezzo. Sempre nel caso delle auto, anche i motori sono più efficienti e quindi si può parlare di una demate­rializzazione del bene prodotto in funzione del servizio di trasporto .
Nonostante gli sforzi, la dematerializzazione, soprattutto a livello globale, incontra forti resistenze. Il consumo di materia ed energia in termini fisici aumenta costantemente in tutte le parti del mondo. un Paese come la Cina sta letteralmente esplodendo per la «materializza­zione» della propria economia.
La ragione di questo fenomeno in apparenza contraddittorio si spiega con il fatto che i consumi crescono più rapida­mente dell'innovazione tecnologica volta al risparmio di fattori fisici. La
richiesta di materiali da parte dell'industria e di beni finali da parte dei consumatori è molto sostenuta e in forte crescita nei Paesi emergenti   La tecno­logia per rendere meno dispendioso l'uso o per recuperare i beni dopo l'uso (riciclaggio dei rifiuti) non è in grado di stare al passo con l'aumento dei con­sumi intermedi e finali.
In questo scenario la decrescita intesa come dematerializzazione .dell'eco­nomia si presenta come un forte impegno per garantire risorse alle genera­zioni future. Esso richiede di sviluppare i miglioramenti tecnologici per ridurre la quantità di materia ed energia per unità di prodotto e di servizio. Se questo progresso non è sufficiente - come è successo finora - si rende necessario ridurre nel loro complesso sia i consumi intermedi sia quelli finali. Dunque, non è più solo un problema di efficienza, ma di riduzione dell'entità fisica e globale dei prodotti che entrano ed escono dall'economia.
Attualmente la competizione dell'eco­efficienza è possibile solo nei paesi svi­luppati, dove esiste un mercato dei prodotti verdi e le imprese dispongono delle risor­se economiche e tecnologiche per realizzare le innovazioni necessarie. Nei paesi in via di sviluppo e in fase di transizione econo­mica queste condizioni non esistono so­prattutto per due ragioni: la scarsità di pro­dotti per soddisfare i bisogni primari e i prezzi dei prodotti verdi che non sono eco­nomicamente accessibili a gran parte dei consumatori locali. Per questi Paesi piú che di eco-efficienza, si deve parlare di eco­giustizia. I Paesi occidentali hanno la re­sponsabilità di trasferire conoscenze e ri­sorse finanziarie, cosí da favorire uno svi­luppo sostenibile, rispettoso della identità, della cultura e delle tradizioni .
Il fattore che caratterizza e qualifica lo svi­luppo economico nella prospettiva della sostenibilità è, dunque, quello della qua­lità, che coniuga risultati economici posi­tivi nel rispetto dell'ambiente. Per misu­rare questi risultati è necessario elabora­re degli strumenti e degli indici di soste­nibilità che consentano di valutare l'eco-efficienza .
   La crescente consapevolezza che la maggior parte degli impatti ambientali è causata dalla cattiva gestione delle attività d'impresa, più che da un'intrinseca dannosità dei processi industriali, ha spostato l'attenzione sugli aspetti organizzativi e gestionali, producendo riferimenti normativi (sia cogenti che volontari) per la corretta gestione delle tematiche ambientali all'intemo dell'impresa.
Sono molti gli strumenti volontari per il miglioramento dell'eco-efficienza, co­me per esempio: l'analisi del ciclo di vita dei prodotti (LCA), le etichette ecologi­che, i sistemi di gestione ambientale (Emas and ISO 14000), la contabilità ambientale, la responsabilità sociale d'impresa, gli in­vestimenti socialmente responsabili, i codici etici, i bilanci sociali e ambientali, i marchi di pro­dotto. Di questi strumenti ne prendiamo in esame solo alcuni, mostrando come sia  in gioco non solo un valore econo­mico strategico, ma una responsabilità ineludi­bile verso le future generazioni.
 
 Le politiche integrate di prodotto
   Tra i nuovi strumenti un ruolo importante è assunto da quelli applicati al complesso sistema che ruota intorno al prodotto (produzione, consumo, distribuzione, ecc.). 
 L'esigenza di sviluppare strumenti gestionali in questo ambito è maturata in conseguenza delle crescenti pressioni provenienti dagli interlocutori esterni dell'impresa, che sempre più chiedono garanzie circa la compatibilita ambientale dei prodotti . E’ cresciuta la consapevolezza dell'importanza degli impatti ambientali generati dai prodotti industriali, non solo nella fase della loro produzione (carico inquinante delle sostanze utilizzate, processi produttivi e tecnologie ad alto impatto ambientale), ma anche in tutte le altre fasi del loro ciclo di vita, a partire dall'estrazione e lavorazione delle materie prime, lungo la produzione, la distribuzione, l'uso e infine lo smaltimento e la gestione dei rifiuti. E’ proprio la scelta di considerare in modo integrato le diverse componenti di questa complessità, che consente di definire da parte dell’impresa politiche ambientali più efficaci, perché in grado di riportare sotto un unico indirizzo aspetti e obiettivi diversificati .
   Inoltre, il peso sempre maggiore delle esternalità di consumo (prima fra tutte l'emergenza rifiuti in molti Paesi) ha reso evidente che le politiche ambientali non possono prescindere dagli impatti ambientali che un prodotto genera una volta immesso sul mercato. Nel tempo sono state messe a punto politiche di prodotto indirizzate a risolvere i problemi ambientali che insorgono al di fuori degli stretti confini del ciclo produttivo .
   Nella dinamica delineata, alcuni fattori possono risultare particolarmente significativi nello sviluppo delle condizioni per la realizzazione degli obiettivi e dei modi di interazione: le modalità di produzione e diffusione, la qualità dell'informazione e la disponibilità degli attori a collaborare.
   L'approccio del "ciclo di vita" consente di valutare i carichi ambientali connessi alle attività che si esplicano lungo le fasi dell'esistenza di un prodotto. Analizzando questi aspetti in modo integrato, è quindi possibile predisporre politiche che mirino al miglioramento complessivo della performance ambientale del sistema-prodotto, inglobando strumenti tradizionalmente rivolti a gestire gli impatti ambientali delle singole fasi del ciclo di vita .
   D'altra parte, il prodotto è quell'anello della catena produttiva attraverso cui si sviluppano i contatti tra produttori e consumatori, tra questi ultimi e i distributori, tra produttori e fornitori: le politiche focalizzate sui prodotti consentono quindi di influenzare e guidare il comportamento di tutti questi attori (e altri coinvolti nella gestione del prodotto), favorendo l'integrazione tra gli obiettivi delle politiche ambientali rivolte ai diversi soggetti coinvolti nella tutela dell'ambiente .
Le imprese che fanno prodotti di dubbia qualità e valore abdicano alla loro responsabilità arguendo che se i consumatori non vogliono il prodotto non hanno da comperarlo: la responsabilità morale per ciò che è prodotto riposa sui consumatori e non sul produttore. Queste imprese affermano che prima il consumatore domanda e poi l’impresa fornisce .
Ma se la produzione è un’attività umana, le appartiene una dimensione morale. L’esistenza e lo spazio di questa nelle imprese può essere verificata con alcune domande, che si presentano come test etico: il prodotto o servizio soddisfa reali bisogni della società? La produzione del prodotto è un uso saggio delle risorse? Il prodotto mostra la buona amministrazione della direzione? Un’ indicazione di fondo, che richiede di essere concretizzata nei complessi meccanismi del mercato globale viene dalla Dottrina sociale della chiesa: ciò che è prodotto e consumato “deve essere guidato da una visione comprensiva dell’uomo che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e che subordini le sue dimensioni materiali e istintive a quelle interiori e spirituali”(Centesimus Annus n.36). In tal modo la produzione viene guidata dalla moderazione e dal bene comune e non consegna la responsabilità degli imprenditori alle forze impersonali del mercato.

Il bilancio ambientale
L'uso del termine bilancio è  improprio. Più opportuno si dimostra invece l'uso del termine `rapporto',  venendosi così a parlare di rapporto ambientale, di rap­porto sociale e di rapporto etico per tutti quei documenti che portano a conoscenza dei diversi interessati l'ope­rare dell'impresa nell'ambiente e nella società umana.
Gli scambi economici di acquisto dei fattori produttivi, gli scambi economici di ces­sione dei prodotti ottenuti, le combinazioni tecniche che av­vengono all'interno dell'impresa originano le interazioni tra l'impresa e l'ambiente, dalle quali derivano gli effetti modi­ficativi dell'ambiente nel quale essa opera. Questi effetti mo­dificativi, dei quali i principali fattori negativi sono gli inqui­namenti ed il consumo delle risorse, sono fatti che interes­sano non solo i gruppi di interesse interni all'impresa, ma anche i gruppi di interesse esterni alla stessa, i quali hanno diritti propri e meritevoli di tutela.
L'informazione di tutti questi gruppi di interesse avviene con il rapporto ambientale, che ha avuto un crescente svi­luppo in questi ultimi anni e che è oggi il rapporto più uti­lizzato dalle imprese per l'informazione non strettamente e­conomica; esso è indirizzato anche ai gruppi di interesse e­sterni all'impresa.
Premessa esplicita, o implicita, al rapporto ambientale come al rapporto sociale è l'identificazio­ne dei gruppi di interesse che sono i principali interlocuto­ri per gli aspetti ambientali, sociali ed etici dell'attività eco­nomica dell'impresa. Questi sono comunemente individuati negli azionisti e nel personale, che costituiscono i gruppi di interesse rite­nuti prioritari; nei fornitori, nei finanziatori, nei clienti, nel­l'autorità pubblica, nella collettività intera, intesa come gli enti che operano nel campo sociale - la comunità locale, gli istituti di comunicazione, gli istituti sociali -.
Il rapporto ambientale, come gli altri rapporti, solita­mente inizia con l'enunciazione dei valori che sono a guida dell'attività, degli obbiettivi che si vogliono perseguire, delle politiche con le quali si vogliono conseguirli e con la descri­zione della struttura operativa e della storia dell'impresa. In una parte suc­cessiva sono presentate le grandezze fisiche e monetarie che vogliono misurare gli effetti delle operazioni sull'ambiente. I dati quantitativi sono esposti in modo da comunicare gli ef­fetti e le loro variazioni; i dati sono anche elaborati in modo da comporre degli indici di risultato allo scopo di rendere più facilmente possibile il loro confronto con gli obbiettivi programnnati.
Il fine prevalente dichiarato nella presentazione dei rap­porti ambientali è, come si è detto, quello di informare circa ­l'impatto dell'attività dell'impresa sull'ambiente e sulla ge­stione ambientale perseguita dalla stessa, in particolare con riferimento alle diverse forme di inquinamento e all'uso del­le risorse, anche allo scopo di fornire elementi di giudizio sul loro eventuale impiego alternativo .
I rapporti ambientali sono talvolta distratti dall'obbiettivo origi­nario di informazione e vengono utilizzati allo scopo di comu­nicare un'immagine etica compatibile con la salvaguardia dell'ambiente e la promozione del benessere sociale capace di procacciare all'impresa la benevolenza e forse la stima da parte della collettività. Scopo che può essere conseguito en­fatizzando gli aspetti e gli effetti positivi della propria attività e rninimizzando gli aspetti e gli effetti negativi .
La comune adozione dei prìncipi che si stanno svilup­pando nella predisposizione dei rapporti sociali e ambienta­li, la loro conoscenza e la loro adozione, renderebbero in­dubbiamente possibile anche il controllo esterno. Il con­trollo esterno è inteso come certificazione dei rapporti. Come si vogliono certificare i bilanci di esercizio così ci si propone di certificare i rapporti ambientali e sociali.

Il problema delle certiificazioni 

Si tratta di strumenti per rendere pubblica la situa­zione dell'impresa dal punto di vista del­la gestione ambientale e quindi dell'im­patto generato dall'attività produttiva .
      L'Unione Europea ha sviluppato molti strumenti per favorire la possibilità che i Paesi mèmbri potessero governare questa sfida, soprattutto ricorrendo a schemi di certificazione: è nei primi anni '90 che la Commissione elabora la Direttiva sull'ECOLABEL, sull'etichetta ambientale dei prodotti, e il Regolamento EMAS sugli schemi di gestione ambientale dei processi produttivi. degli ambiti territoriali più ampi, dei distretti industriali, e nello stesso tempo, per quanto concerne l'etichettatura ambientale dei prodotti, ha espresso con estrema chiarezza l'orientamento a considerare come prodotti sia i beni che i servizi .
La registrazione ambientale con il Re­golamento EMAS2, pone delle innova­zioni gestionali (che saranno riprese nel­la nuova edizione della norma ISO 14001), volte a garantire la considerazione di nuo­vi aspetti ambientali diretti, tra cui la po­litica degli acquisti, l'uso e la contamina­zione del terreno e le questioni storico-am­bientali relative all'azienda o al sito da certificare; inoltre dovranno essere considerati anche aspetti ambien­tali indiretti, tra cui l'analisi del ciclo di vi­ta, l'uso e il corretto smaltimento eco­compatibile dei prodotti, la scelta e l'uti­lizzo di servizi e il comportamento am­bientale di fornitori e appaltatori .
Queste nuove impostazioni ampliano sicuramente le responsabilità dei pro­duttori di beni e servizi oltre i meri con­fini della propria azienda, ponendoli nel­le condizioni di considerare, anche se in termini semplificati, il ciclo di vita dei pro­pri prodotti, nonché di influire, per quan­to possibile, su fornitori e appaltatori, introducendo dei criteri ambientali tra quelli di selezione.
Ciò corrisponde all'esigenza di am­pliare i confini del miglioramento am­bientale, al fine di renderlo sempre piú ampio e reale, anche oltre i"semplici' li­miti di legge, e di realizzare una sorta di "circolo virtuoso" che favorisca la diffu­sione degli strumenti di gestione am­bientale nelle varie filiere produttive.
Nu­merose sono le opportunità che periodi­camente offrono un supporto finanziario alle imprese che intendono organizzare e certificare un proprio sistema di ge­stione ambientale. In primo luogo le linee finanziarie europee, mi­nisteriali e regionali a copertura parzia­le (agevolata o a fondo perduto) dei co­sti sostenuti per la certificazione am­biennale .  
   La veloce crescita delle cer­tificazioni qualità è dovuta alcune volte a situazioni di comodo che hanno in­dotto aziende, organismi di certificazio­ne e consulenti ad "accelerare" in modo anomalo i processi certificativ . Dal punto di vista della Pub­blica Amministrazione, un maggiore nu­mero di aziende certificate dovrebbe por­tare a una diminuzione dei controlli (e quindi dei costi) a favore di un maggio­re dialogo fra aziende e assessorati.
Aumenta però il rischio che la credibilità degli sche­mi di certificazione dei sistemi di gestio­ne aziendale risulti danneggiata, proprio a motivo del fenomeno delle certifi­cazioni in continua espansione, unita­mente al numero dei soggetti che opera­no in tali settori, mentre non sempre ven­gono garantite la competenza, la profes­sionalità e l'affidabilità necessarie. La qualificazione dei tecnici e dei va­lutatori è fondamentale per trasformare il processo di certificazione da semplice rilascio di un "diploma" a fattore di miglioramento continuo e di sviluppo azien­dale sostenibile . .
Certificare significa esaminare criticamente i dati quanti­tativi e qualitativi esposti nei rapporti allo scopo di poter esprimere un giudizio sulla correttezza delle informazioni ed un giudizio sulle “missions” annunciate dalle imprese e sulle loro politiche attuative.
L'omogeneità e la conoscenza della forma e del contenuto sono requisiti fondamentali per avere chiare e significative informazioni che permettano di giudicare le politiche azien­dali, le azioni e gli obbiettivi conseguiti dalle imprese e di con­frontare i dati di un'impresa con quelli di un'altra. L'omoge­neità del contenuto per essere realizzata deve riguardare gli argomenti da trattare ed anche i dati tecnici che vogliono misurare i risultati delle azioni intraprese dalle imprese. La ricerca di dati tecnici di comune accettazione è la più gran­de difficoltà che si riscontra in questo campo. La difficoltà diventa ancora maggiore quando si considera che i dati tec­nici non solo devono essere misure degli effetti particolari, ma devono essere anche misure delle conseguenze generali, in particolare dei risultati relativi ai grandi fenomeni po­sti all'attenzione di tutti: gli effetti sul clima, sulla salute, sul depauperamento delle risorse, sul miglioramento della qua­lità della vita, sul rispetto dei comuni valori dell'etica. Esi­stono diverse iniziative volte alla costruzione di modelli che si occupano della struttura dei rapporti e del loro contenu­to, ma non vi è un modello, con le dovute variazioni onde tenere conto delle particolari caratteristiche delle differenti imprese, che abbia un riconoscimento ed un accoglimento generale .
Occorre  ricorrere a persone che abbiano conoscenze anche specifiche nei vari settori, o meglio, considerata la complessità dell'esame dei diversi campi, occorre ricorrere a gruppi di persone, le quali nel loro insieme possano garan­tire tutte le conoscenze necessarie. Queste esigenze spingo­no alla nascita di nuovi istituti di certificazione e all'adegua­mento di quelli esistenti alla nuova domanda .
Del resto perché il "sistema" aziendale venga tenuto sotto controllo, è  necessario creare una figura professionale che, conoscendo la problematica ambientale, sia in grado di assistere la direzione e le varie unità, nelle quali è strutturata una impresa, nella operatività collegata al sistema di gestione ambientale .

 

Integrazione e governance nelle politiche ambientali

   I nuovi strumenti di regolazione del rapporto impresa ambiente valorizzano le interazioni tra tutti i protagonisti delle prestazioni ambientali: le istituzioni, le imprese e i cittadini, ma anche altri importanti attori che svolgono ruoli di rappresentanza e intermediazione . I ruoli e i meccanismi di interazione risultano però modificati rispetto alle logiche tradizionali, legate alla predominanza degli strumenti regolamentativi di tipo command and control. Grande è lo sforzo che si deve porre per il superamento razionale di pseudo-logiche vincolistico-repressive, per giungere ad un moderno approccio negoziale-processuale, evolutivo, di dialogo tra un controllore credibile e un'impresa matura: entrambi consapevoli che far guadagnare qualità ambientale al Paese, al suo territorio, alle sue merci, al suo apparato produttivo significa incrementarne decisamente la competitività sul mercato.
   L'amministrazione pubblica, ai suoi diversi livelli, non può più essere considerata come il depositario unico di un interesse collettivo univocamente e scientificamente definito. La tradizionale posizione autoritativa non è più la sola possibile, ma è progressivamente affiancata da ruoli di promozione e di collaborazione con gli altri attori.
   I soggetti economici non sono più soltanto parte del problema, ma anche della soluzione. Il processo di innovazione riconosce infatti alle imprese un ruolo di crescente responsabilizzazione e partecipazione attiva alla definizione di obiettivi politici di lungo periodo più ambiziosi, e all'attuazione delle politiche concordate, riconoscendo come il necessario impegno al cambiamento deve considerare la posizione e le esigenze dei soggetti attraverso cui passano. D'altra parte, si assiste anche a fenomeni di auto-responsabilizzazione delle imprese, dove la cultura aziendale interiorizza la responsabilità ambientale dell'impresa.
   Gli altri soggetti sociali, con particolare riferimento ai cittadini-consumatori e alle loro aggregazioni associative, non possono più essere semplicemente considerati come gli "inquinati", ma al contrario possono giocare un ruolo significativo nell'influenzare il comportamento di imprese e Pubblica Amministrazione, per esempio attraverso le pre­ferenze che esprimono nelle proprie scelte. Si può in tal modo attivare un circolo virtuoso di cui tutti gli attori in gioco possono beneficiare: le istituzioni non sono costrette ad essere gli unici soggetti responsabili della tutela dell'ambiente. Le imprese possono trasformare i vincoli ambientali in opportunità competitive; i cittadini-consumatori possono direttamente farsi tramite di miglioramenti della situazione ambientale.
 L'idea di governance richiama il processo con il quale si articolano nel tempo e nello spazio le complesse interrelazioni tra i diversi soggetti, e cioè alle modalità con le quali si "compongono" le differenze e le divergenze. Il concetto di "governance" indica il "modo con il quale è esercitato il potere". Registra, cioè, l'efficacia/efficienza della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento alla lotta alla corruzione, ed il modo con il quale sono allocate le risorse per lo sviluppo.
 Tutte le politiche di settore (la politica economica, la politica industriale, agricola, ecc.) dovrebbero integrare gli obiettivi di tutela ambientale. Ciò implica una grande capacità coordinativa che parte dalle istituzioni pubbliche e di promozione delle iniziative dei soggetti privati e del privato sociale.
   Questo coordinamento e questo dialogo consentono di attivare nuove partnership con i soggetti privati e quelli sociali e di stimolare, quindi, nuove prospettive.
   La strategia della sostenibilità implica la buona "governance", che fa riferimento alla dimensione istituzionale dello sviluppo sostenibile: "buona governance" e attuazione dello sviluppo sostenibile sono interdipendenti.
   La governance si riferisce alle relazioni tra chi governa e chi è governato: cioè alle condizioni di democrazia sostanziale, al grado di partecipazione alle scelte collettive da parte dei diversi soggetti.
    Quando all'esterno dell'impresa non vi sia un contesto di idonee infra­strutture, non si realizza l'efficacia del si­stema ambientale, e neppure l'efficienza dei costi sostenuti dalle imprese.
Allora due sono gli aspetti che pare opportuno sottolineare: da un lato, lo sviluppo sostenibile non può essere au­tomatico e spontaneo: sono necessarie politiche pubbliche che favoriscano gli in­vestimenti in tecnologie ambientali da parte delle imprese. Non basta piú un go­verno parziale dell'ambiente: serve un in­sieme articolato, bilanciato e coerente di misure economiche, normative, tecniche, fiscali, formative e informative. Serve una progettazione strategica e flessibile. Dall'altro, bisogna dare strumenti ac­cessibili alle piccole e medie imprese, per
le quali la gestione di un sistema 14001 può risulta­re proibitiva, non solo dal punto vi­sta economico e fi­nanziario, ma an­che amministrati­vo e gestionale, ri­chiedendo un no­tevole appesanti­mento burocratico.
­Il primo a doversi dimostrare all'al­tezza della sfida ambientale è l'attore po­litico. La complessità dei problemi eco­logici è infatti tale da richiedere un de­cisore pubblico competente ed efficace.
La crescente coscienza ecologica del mondo industriale va accompagnata e so­stenuta da Regioni ed Enti locali, e age­volata da interventi legislativi e fiscali. A discendere dalle politiche comunitarie recepite a livello nazionale, va realizza­to, sul piano locale, uno stretto coordi­namento strategico e operativo fra pub­blico e privato. Serve una "governance dell'ambiente" .  
La strada per un esercizio democratico del potere allo sco­po di aprire un terreno sufficientemente ampio all'in­tegrazione della responsabilità socio-economico-am­bientale nel governo delle imprese, passa necessaria­mente attraverso i partiti, nel paese come in campo interna­zionale .
Il mondo politico, in particolare, è chia­mato ad elaborare ragioni di valore e ra­gioni economiche valide per sostenere e rendere efficace l'approccio dello svilup­po sostenibile . Gli obiettivi di sostenibilità possono essere raggiunti grazie all'inte­grazione sinergica del comportamento aziendale con la predisposizione di un'a­deguata struttura istituzionale e normati­va. La politica ha il compito di dettare le regole del gioco in cui si svolge l'attività delle imprese; a livello internazionale è necessario creare un'Autorità dotata di un potere vincolante che si occupi di far ri­spettare le regole attraverso adeguati con­trolli. L'intervento politico di questa Au­torità si giustifica con la necessità di tro­vare accordi e agevolazioni. “E’ compito dello stato provvedere alla difesa e alla tutela di quei beni collettivi, come l’ambiente naturale e l’ambiente umano, la cui salvaguardia non può essere assicurata dai semplici meccanismi di mercato” (Centesimus Annus n.38). Occorre por mano a «un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale», per garantire a tutti il «diritto ad un ambiente sicuro».  «Le dimensioni dei problemi superano, in molti casi, i confini dei singoli Stati: la loro soluzione, dunque, non può essere trovata unicamente a livello nazionale», ribadisce ancora Giovanni Paolo II  .

Alcune articolazioni della politica ambientale
Fare dell'ambiente un dovere etico e una prio­rità aziendale, richiede che le imprese siano messe in grado di sviluppare una corretta politica ambientale . Oggi l'impresa non è solo un attore economico, ma gioca il suo ruolo nell'integrazione fra sistema economico, sociale e ambientale.
 Ad esempio la politica fiscale non dovrebbe più gravare sul lavoro ma sui consumi, soprattutto energetici . Quindi la tendenza finora prevalente nell'economia al risparmio di manodopera dovrebbe ormai dare la precedenza al risparmio di energia e di materie prime. Si tratta anche di tendere alla riduzione massima delle spese per i trasporti che sono in generale altamente inquinanti.
   Questa politica favorisce non solo la tendenza verso una regionalizzazione della produzione, già necessaria per rispettare la capacità di carico, ma anche verso una regionalizzazione del mercato che richiede un'autogestione in base ai principi di dell'autosufficienza e dell'efficienza . Diventa determinante in questa prospettiva anche il criterio della sussidiarietà, costantemente richiamato dalla Dottrina sociale della Chiesa, che privilegia la gestione democratica locale dei problemi, demandando a livelli superiori solo ciò che non è localmente gestibile .
Si propone in sostanza, come già facevano Daly e Cobb, di ridurre la corsa alla massimizzazione privilegiando l'ottimizzazione, badando al valore d'uso più che a quello di scambio, all'utilità concreta più che al profitto .
      Non è da trascurare una crescita delle imprese no-profit che operano in campo ambientale (e che esprimono una solidarietà verso l'altro, attraverso la tutela di un bene comune) e sono fonte di occupazione.
Un meccanismo, pur previsto a suo tempo dalla Convenzione sul cambiamento climatico, quello della Jointing Implementation, consiste nell’avviare un'azione congiunta con finanziamenti mondiali gestiti dalla Banca Mondiale tra i Paesi che sono leader nelle tecnologie con i Paesi in via di sviluppo affinchè attraverso il trasferimento di tecnologie ecocompatibili si favorisca la trasformazione del loro modello di sviluppo. E si evitino  esportazione di tecnologie obsolete o fuori mercato in Paesi in via di sviluppo con controlli ambientali e sociali meno stringenti, il cosiddetto "dumping ecologico".
Non ci potrà essere responsabilità del settore privato senza una riforma delle attività delle agenzie di credito all'esportazione, al fine di sostenere il trasferimento di know-how e tecnologie pulite nei Paesi in via di sviluppo, e garantire che i fondi pubblici non siano usati per finanziare attività di dumping ecologico e sociale. “Le tecnologie e i loro trasferimenti costituiscono oggi uno dei principali problemi  dell’interscambio internazionale e dei gravi danni che ne derivano. Non sono rari i casi di paesi in via di sviluppo, a cui si negano le tecnologie  necessarie o si inviano quelle inutili”(Sollecitudo Rei Socialis n.43).
Politiche finanziarie vanno messe in atto perché gli investimenti diretti esteri di imprese multinazionali e institutional investors spesso sono accompagnati da gravi impatti sull'ambiente, soprattutto se concentrati nel settore dello sfruttamento delle risorse naturali, quali acqua, energia, foreste, minerali .
   Gli investimenti privati spesso comportano effetti ambientali immediati, anche se indiretti, in settori quali la privatizzazione di imprese statali, joint ventures per la gestione di impianti industriali o la costruzione di nuove fabbriche o infrastnitture produttive.
Vista la loro rilevanza sul panorama economico e finanziario internazionale, sarà quindi necessario considerare gli investimenti privati come una potenziale leva per lo sviluppo sostenibile. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel capitolo sulla giustizia e solidarietà tra le nazioni, esorta che “a sistemi finanziari abusivi se non usurai si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, “ridefinendo le priorità e le scale di valori”(Centesimus Annus n-35)” .
Un sistema preventivo di indicatori può prevedere una capacità di misurazione dell'impatto ambientale di ogni eventuale progetto da finanziare, quindi uno sviluppo di capacità di valutazione dell’impatto ambientale che fornisca un input per le decisioni politiche, per una priorità di progetti e scelte programmatiche per la promozione dell’ “ecologia umana”.
                       
Biografia di Gianni Manzone

Gianni Manzone, nato a S.Vittoria d’Alba (1951) e laureatosi in Teologia Morale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano,  insegna antropologia ed etica sociale  alla Pontificia Università Lateranense e all’Università Urbaniana. Collabora con diverse riviste scientifiche.
 Tra i suoi vari saggi, ricordiamo “Il mercato. Teorie economiche e Dottrina sociale della Chiesa” 2001, “La responsabilità dell’impresa. Business Ethics e Dottrina sociale della Chiesa” 2002. “Invito alla Dottrina sociale della Chiesa” 2004, “Società interculturali e tolleranza” 2004, “Il lavoro tra riconoscimento e mercato” 2006, “Una comunità di libertà. Introduzione alla teologia sociale” 2008
ABSTRACT

Ecologia ed impresa alla luce della Dottrina sociale della Chiesa

La relazione affronta ­la responsabilità ambientale come elemento della cultura dell'impresa, spesso oggettivata in un codice etico e riflessa nello stile manageriale adot­tato.
La dottrina sociale della chiesa contribuisce in modo originale a formare tale cultura in cui l’impresa può trovare una coerenza “ecologica” e permettere così all’individuo e a gruppi, dentro la struttura organizzativa, l’opportunità di praticare reale innovazione e cambiamento.
 La DSC come discernimento teologico dell’esperienza sociale si chiede innanzitutto quali valori le imprese promuovono, valorizza i segni di speranza e indica il bisogno di un nuovo ethos, che abbracci tutte le dimensioni dell’umano che ha nell’ambiente naturale la sua dimora (CDSC n.451-465).
L’apporto della riflessione teologica alla cultura dell’impresa risponde  al bisogno di un approccio globale all'ambiente che vada oltre l'eco-efficienza. La convinzione di fondo è che gli esseri umani sono chiamati da Dio ad essere responsabili della creazione come “amministratori” e “custodi del giardino” a loro affidato.
L'eco-efficienza rappresenta solo una ri­sposta parziale al problema ambientale, perché utilizza le stesse categorie di pen­siero che lo hanno generato. Infatti, l'in­tegrazione dell'efficienza economica con l'efficienza ambientale risponde al mede­simo criterio di massimizzazione dei ri­sultati, realizzati attraverso una diminu­zione o dei costi di produzione e/o del­1'utilizzo di risorse naturali ed energetiche.
Si rende necessario definire un nuo­vo quadro concettuale all'interno del qua­le delineare un approccio globale al pro­blema ambientale che individui il ruolo dei diversi attori coinvolti e le azioni inter­medie da intraprendere per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, un approccio, come afferma la Centesimus Annus, che tenga conto delle «condizioni morali di un 'autentica ecologia umana "(n.38).'. L’enciclica parla di “ecologia umana” nel significato di “ambiente vitale complesso e complessivo” inteso non solo come fisico o “ecologico” in senso comune, ma come il luogo dove si producono beni materiali e si entra in relazione, e in cui si dà il senso umano della vita. Ne deriva quindi la necessità di dare “la  debita attenzione ad “un’ecologia sociale” del lavoro”(n.38) e della sua organizzazione che è l’impresa. Diventa necessaria una visione più complessa del fine dell’impresa, visione che integra l’utilità economica, la coscienza individuale e la responsabilità sociale ed ecologica, promuovendo un tipo di impresa equilibrata (Caritas in veritate n.51)
Lo stesso capitalismo comincia ad avvertire, perfino sul piano ecologico, la necessità di passare ad un sistema di regolazione piú sostenibile.
L’assoggettamento della terra al bisogno dell’uomo e alla sua attività di produzione, assai prima di essere pensato come un compito, va riconosciuto dall’uomo come un fatto sorprendente, una rivelazione del destino promettente della vita a lui dischiuso, rivelazione insieme di Dio e dell’uomo (CDSC n. 487).
L’ atteggiamento di fondo enunciato permette di fondare una cultura d’impresa dove la responsabilità ecologica si concretizza nelle strategie di cambiamento articolate in regole concrete. In secondo luogo l’attenzione va su alcuni strumenti disponibili per affrontare la sfida, che esige, in un terzo momento, di essere collocata nel contesto di politiche ambientali integrate e articolate secondo i vari livelli micro, meso, macro.


Istituto di Ricerche Ambiente Italia (a cura), Ambiente Italia 2000. Rapporto sullo stato del paese, Ambiente, Milano 2000.

Si tratta di lanciare sul mercato prodotti più compatibili con l'ambiente, che consumino meno risorse, meno energia, meno acqua, processi produttivi che generino meno rifiuti tossici, meno acque di scarico, meno calore di scarto, territori che siano più rispettosi dei limiti quali-quantitativi della risorsa suolo, della risorsa acqua, superficiale e sotterranea, della qualità dell'aria.

F.DE STEFANI, “Il futuro è dell’impresa ecosesnsibile”in Etica delle professioni  3(2003)48-53.

È il caso di chi si occupa, ad esem­pio, della produ­zione di materiali ottenuti tramite l'impiego di oggetti ri­ciclati o della raccolta e dello smaltimento differenziato dei rifiuti. Un altro esem­pio è quello dell'industria dell'autotra­zione che utilizza carburanti alternativi, quali il gas metano e il gas di petrolio li­quefatto (GPL).

DOCUMENTO FINALE della quinta conferenza su etica e politiche ambientali 2-6 aprile 2003 Kiev

Reale innovazione e cambiamento avvengono quando una cultura è sufficientemente coerente da sostenere certi modelli di ruoli d’imprenditorialità come praticabili e desiderabili (P. SEDGWICK, The Enterprise Culture, SPCK, London 1992).

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOICALE DELLA CHIESA nn.461-465

G.ENDERLE, “In Search of a Common Ethical Ground: Corporate  Environmental Responsibility from the Perspective of Christian Environmental Stewarship”in JBE 16(1997)173-181

“Noi dobbiamo essere i canali attraverso cui la grazia di Dio è partecipata a tutta la creazione. L’essere umano è semplicemente e gloriosamente il mezzo per l’espressione della creazione nella sua pienezza e della liberazione di Dio per tutta la creazione”( P. SEDGWICK, o.c., p.24).

Bisogna riconoscere che  è l'inefficienza materiale complessiva del modo di produzione capitalistica ad essere aberrante: gli esperti stimano che di tutti i materiali mobilizzati per rifornire i paesi sviluppati, soltanto il 15% sia effettivamente trasformato in un prodotto e - si noti - sia ancora in uso sei mesi dopo (L. GALLINO, L’impresa irresponsabile, Einaudi, Torino 2005)

L.E.MITCHELL, Corporate Irresponsibility, p.3, cit. da L. GALLINO, L’impresa irresponsabile, o.c., p.129

L.BOUCKAERT, “The Project of a Personalistic Economics”in Ethical Perspectives 6(1999) 20-31

L’esperienza mostra che la frustrazione, il disappunto, i sentimenti di disperazione, la sofferenza profonda possono far sorgere crisi morali e spirituali. Sono spesso poi gli effetti collaterali del nostro comportamento razionale a portarci confusione. Una situazione di crisi può sovrastare un individuo, un gruppo, un’istituzione, un’intera cultura e semina dubbio, incertezza, demotivazione e pone in moto un processo di riflessione.

A.SEN, “Rational Fools. A Critique of the Behavioral Foundations of Economic Theory” in J.MANSBRIDGE ED., Beyond Self-Interest, University of Chicago Press 1990, p.325.

In un contesto di pensiero strumentale l’accesso ad un’esperienza di valore intrinseco diviene più difficile e la volontà di dare priorità a qualcos’altro diminuisce.

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA  N.487

ID. n.486

Ricordiamo alcune norme: proteggere e tutelare quelle realtà che rappresentano la base e garantiscono il fondamento per la vita, salvaguardare gli interessi vitali esistenziali delle generazioni future, dare la precedenza agli interventi che causano danni reversibili rispetto a quelli che causano danni irreversibili, privilegiare le fonti di energia rigenerabili rispetto all’energia non rinnovabile a parità di condizioni. Cfr. Conferenza Episcopale Lombarda, La questione ambiente, Milano 1988.; K. GOLSER, “Questione ambiente” in RTM 85 (1990) 11-20. R. BERTHOUZOZ, “Pour un’ethique de l’enviromement” in Le Supplement 169 (1989) 43-87. Un approfondimento interessante riferito all’agricoltura,  in Custodire la terra, Nota Pastorale dei Vescovi di Alba, Cuneo, Fossano, Mondovì e Saluzzo, 1994.

L.CASELLI, Globalizzazione e bene comune. Le ragioni dell’etica e della partecipazione, Lavoro, Milano 2007

Cfr. G.MANZONE, La responsabilità dell’impresa.Business Ethics e Dottrina sociale della Chiesa in dialogo, Queriniana 2002, p.163ssg.: per un approfondimento del tema nel contesto generale dell’impegno sociale del credente cfr. ID., Una comunità di libertà. Introduzione alla teologia sociale, Ed.Messaggero, Padova 2008, cap. 6.

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOICALE DELLA CHIESA n.467

Documento sinodale “La giustizia nel mondo” 1971 n.70; COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA nn.481-485.

I modelli di consumo che ha saputo imporre alla mas­sa della popolazione, insieme con il citato aumento delle disuguaglianze che favorisce i«consumi vistosi», ovvero esibizionistici, da parte degli strati superiori di reddito, hanno prodotto abissi di irrazionalità ecologica.

   Agli artigiani di Martina Franca Giovanni Paolo II propone indicazioni conrete su come conciliare l’economia dello sviluppo con la qualità della vita: “ricerche scientifiche, proposte e iniziative di associazioni professionali e soprattutto la responsabilità degli operatori economici, devono stabilire la compatibilità umana tra le tecniche di produzione, trasformazione e commercio e il rispetto degli equilibri ambientali”. La qualità della vita non risulta infatti solo “da un ambiente sano e pulito”, ma “dalla promozione globale dei valori economici, culturali e morali di un popolo”. Nei confronti della natura l’umanità è sottomessa a “leggi non solo biologiche, ma anche morali che non si possono impunemente trasgredire”(Osservatore Romano  30 ott.1989 n.259, p.9).

M. CARIEY- P. SPAPENS, Condividere il mondo. Equità e sviluppo sostenibile nel ventunesimo secolo, Ed. Ambiente, Milano 1999.

Può essere vista come una meta socio-politica che prevede una diminuzione del volume delle attività economiche (G..OSTI, “Decrescita economica: una meta sociale?” in Aggiornamenti sociali 1(2007)33-43 ). Il filone della decrescita economica nasce dalla fusione di due movimenti culturali: quello che critica i processi e i progetti di sviluppo nei Paesi più poveri 3 e quello che legge la questione ecologica non solo come inquinamento, ma anche come esaurimento dello spazio necessario alla vita di uomini ed eco­sistemi.

  Cfr SACHS W. (ed.), Dizionario dello sviluppo, EGA, Torino 1998;  WUPPERTAL INSTITUT, Futuro sostenibile. Riconversione ecologica - Nord Sud - Nuovi stili di vita, EMI, Bologna 1997. Cfr GRIGSBY M., Buying Time and Getting By. The Voluntary Simplicity Movement, State University of New York Press, Albany 2004. Si tratta, ad esempio, di ottenere il medesimo effetto (riscal­dare un ambiente o far muovere un'auto) con una minore quantità di energia. Altre versioni di questo concetto si riferiscono alla riduzione della quantità di lavoro per unità di bene o per unità di prezzo monetario: quanto più alta è la quota di ricchezza ottenuta con fattori immateriali (conoscenza, relazioni, organizzazione, ecc.), tanto più alta sarà la dematerializzazione.

La dematerializzazione relativa non è solo un processo lineare di progres­sivo aumento dell'efficienza della produzione e della distribuzione dei beni, ma è anche un processo indotto da eventi storici particolari. L'esempio più noto è la guerra dello Yom Kippur del 1973, che spinse gli Stati arabi a un rafforzamento del «cartello» del petrolio e a un innalzamento repentino del prezzo di tale fonte energetica. Ciò a sua volta indusse la ricerca di maggiore efficienza nel consumo di energia.

Cfr EUROPEAN ENVIRONMENTAL AGENCY, Europe's environment: the third assessment, Copenhagen 2003, in <http://reports.eea.europa.eu>.
9 Cfr MERS N. - KENT J., I nuovi consumatori. Paesi emergenti tra consumo e sostenibilità, Edizioni Ambiente, Milano 2004.

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOICALE DELLA CHIESA n.475

Cfr GERELU E., Società post-industriale e ambiente, Laterza, Bari 1995.
z Cfr AMBENTE ITALIA, Ambiente Italia 2002. 100 indicatori sullo stato del Paese nei 10 anni di globaliz­zazione da Rio a Johannesburg, Edizioni Ambiente, Milano 2002, p.44.

COMPENDIO DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA n. 478

L'area produzione dell’azienda di elettrodomestici Merloni, per es., è im­pegnata nei programmi di ottimizzazio­ne dei consumi di energia elettrica e del­la sostituzione dei diversi combustibili con il metano, riducendo i consumi ener­getici e idrici per pezzo prodotto del 10%, cosí come la quantità di imballaggio per unità. Infine, la logistica ha scelto il treno co­me mezzo di trasporto: dallo stabilimento, oltre il 50% dei pro­dotti viaggia su rotaia. La riciclabilità dei prodotti raggiunge il 190%. Tutto questo richiede un forte impegno di risorse uma­ne, tecniche, organizzative ed economi­che. La Società è poi riuscita a sviluppare prodotti dotati di caratteristiche molto apprezza­te dai consumatori, quali un consumo di energia per lavaggio ridotto del 45% nel caso delle lavatrici e una riduzione del  50% dei tempi di cottura nel settore dei forni a gas. E probabile che il mercato e gli stakeholders apprezzeranno e premie­ranno questa politica, contribuendo a mettere fuori mercato le aziende con­correnti che non adottano tali politiche.

All'inizio, queste politiche si sono concentrate sulle caratteristiche intrinseche del prodotto, e sui rischi ambientali connessi con l'utilizzazione del medesimo, per poi integrarsi con le misure già sviluppate e centrate sull'impatto ambientale dei relativi processi produttivi. Soltanto in tempi più recenti le politiche di prodotto sono arrivate a valutare anche gli effetti ambientali derivanti dalle fasi di preproduzione (progettazione del prodotto, estrazione e trasporto delle materie prime) e dalle fasi post-consumo (riutilizzo, riciclo, recupero, smaltimento). La progettazione è inoltre ispira­ta ai principi del Design for Environment e prevede un utilizzo sempre maggiore dell'elettronica, riducendo quindi il con­sumo energetico. Sono stati sviluppati, poi, specifici strumenti di supporto ai progettisti: un manuale di eco-design, in­dici per misurare la disassemblabilità e riciclabilità dei prodotti, una banca dati relativa alla composizione delle materie impiegate, una newsletter ambientale.

C.LANZAVECCHIA, Il fare ecologico, Paravia, Torino 2000

In quest'ottica, le politiche ambientali comunitarie riconoscono la centralità del prodotto e la necessità di adottare un approccio integrato, che va sotto il nome di Integrated  Product Policy (IPP). Queste si stanno affermando e diffondendo anche in Italia, quali strumenti utili alla gestione ambientale di processi e prodotti da parte delle imprese.

Gli effetti del prodotto sulla società vanno dallo spreco, inquinamento e manipolazione pubblicitaria alle tecnologie salvavita. Questo rango di prodotti può essere realizzato nella stessa impresa come per es. la Philip Morris che produce sigarette e Kraft. Decidere quali prodotti devono essere realizzati si riduce spesso al criterio della legalità e del mercato.

Un esempio di Bilancio Ambientale è quello della Merloni Elettrodomestici, che già nel 1975 aveva ottenuto il premio PA-Vision per la responsabilità sociale. Tale bilancio segue le linee guida defini­te dai principali organismi internazio­nali, che prevedono la pubblicazione de­gli indicatori di:
1) gestione ambientale, che valutano l'impegno profuso nel controllo degli aspetti ambientali;
2) ambientali assoluti, che misurano l'entità dei fattori d'impatto generati dal­l'impresa;
3) prestazione ambientale, che valuta­no l'efficienza ambientale svincolando­la dalle fluttuazioni del livello di pro­duzione;
4) effetto potenziale, che valutano l'ef­fetto che potrebbe produrre l'attività del­l'impresa sull'ambiente;
5) effetto ambientale, che valutano le variazioni effettive dell'ambiente dovu­te all'attività dell'impresa ("Merloni Elettrodomestici. Per uno svi­luppo sostenibile", Bilancio socio-ambientale 2002 ).

 

Esiste poi una forte correlazione tra il tipo di attività industriale e il volume del­le comunicazioni sull'ambiente. Le azien­de che operano in settori che possono avere un forte impatto di immagine o che impiegano grandi quantità di materie prime risultano le piú sensibili al pro­blema nelle relazioni di bilancio. Sui li­velli di comunicazione influisce anche l'attività della concorrenza. In molti ca­si, quando un'impresa in un determina­to settore produce un bilancio ambienta­le, spesso viene imitata dai concorrenti.

   E’ stata la Germania del Ministro Toepfer, che ha impostato la sfida delle normative più stringenti per quanto riguardava le emissioni, la sfida delle tecnologie più avanzate per l'abbattimento di quelle emissioni, come soglia di ingresso al pro­prio mercato, e ha combattuto questa battaglia in Europa fino ad affermare, già più di dodici anni fa, addirittura il proprio marchio di qualità ambientale, l'Angelo Azzurro, oggi standard di qualità rico­nosciuto dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti.

Per favorire la crescita della cultura della certi­ficazione le Agenzie Ambientali (ANPA-APPA-ARPA) hanno inve­stito molto, in questi anni, in informazione, formazione, creazione di oltre 100 Focal Points per la qualità e la certificazione ambientale (almeno uno per Provincia) e oggi stanno elaborando un nuovo strumento che aiuti le piccole e medie imprese, ma anche le grandi, a misurarsi con la sfida della certificazione: la Dichiarazione Ambientale di Prodotto come strumento nuovo, coerente con la cer­tificazione ISO, per aiutare il Sistema Paese a crescere e far fronte alla nuova frontiera della sfida ambientale e della relativa regolazione, a partire dall'adozione delle metodologia di analisi del ciclo di vita del prodotto (LCA).

F.DE STEFANI, “Il futuro è dell’impresa ecosesnsibile”in Etica delle professioni  3(2003)48-53

Sono da poco presenti sul mer­cato alcuni nuovi prodotti finanziari tra cui: "Formula A" di Unicredit, che pre­vede finanziamenti agevolati e polizze assicurative per l'ambiente con premi scon­tati e "Ambiente Sicuro" di INCA, società del Gruppo Monte Paschi di Siena, con valenza creditizia e assicurativa.

Attualmente in Italia, SINCERT, Ente di Accreditamento degli organismi di certificazione, ha accredito 68 enti di cer­tificazione, per complessivi 114 schemi di accreditamento: tale situazione non può non far suscitare qualche lecito dub­bio sulla reale professionalità etica dei va­lutatori "in campo" in quanto, ammes­so e non concesso che per le certifica­zioni qualità sia possibile facilitarne il conseguimento, cosí non può e giammai potrà essere nel caso delle certificazioni ambientali ISO 14001, che ammontano a circa 1.400 a Marzo 2002.

Presupposto fondamentale e insostituibile della forma­zione di un valutatore (auditor) ambien­tale è la conoscenza delle tecniche di va­lutazione, delle tecnologie impiantisti­che, dei sistemi gestionali per l'ambien­te e della normativa ambientale, in confor­mità ai requisiti della norma ISO 19011: 2002.
In quest'ottica si distinguono le neces­sarie esperienze formative per i valuta­tori ambientali e l'iscrizione ad albi pro­fessionali internazionali di auditor am­bientali, tra i piú validi vi sono l'albo IE­MA - Institute of Environmental Manage­ment and Assessment - (www.iema.net) e l'albo IRCA- International Register of Cer­tified Auditor - (www.irca.org).

Occorre  identificare del­le misure semplici e composte degli effetti e dei fenomeni e non limitarsi alle descrizioni qualitative, o al ricorso ai nu­meri interi per l'esame delle situazioni e la loro misura. Oc­corre infine tenere presente che si è di fronte ad una plura­lità d'imprese, che presentano caratteristiche anche assai difformi le une dall'altre, per cui gli schemi, i principi ge­nerali, gli indicatori possono essere elaborati solo in termini generali per l'universalità delle imprese, ma devono poi es­sere analiticamente presentati per i singoli gruppi d'impre­se, per le quali siano individuabili caratteristiche similari (A.ERENO, “Imprese con certificazione ambientale” in Etica delle professioni 1(2001)75-80).

E questo un campo nel quale le università avrebbero grandi possibilità di intervento, specialmente in una pro­spettiva di interrelazioni fra aree scientifiche differenti che fanno parte della medesima università o di più università.

Le nuove figure professionali possono operare sia all'interno dell'impresa sia come consulenti in grado di intervenire di volta in volta a seconda dei bisogni.
L'attenzione viene posta su figure professionali che operano con una competenza multidisciplinare su temi ambientali strettamente connessi con la gestione. Si possono individuare le seguenti figure: l'esperto ambientale aziendale,"auditor" ambientale, il consulente ambientale, l'esperto di sistemi ambientali.

G.BOLOGNA (a cura di), Italia capace di futuro, Emi Bologna 2000

Un esempio di atteggiamento "illu­minato" viene dal governo olandese, che ha capito i potenziali benefici, in termi­ni di risparmio energetico, derivanti dal­l'utilizzo su larga scala di caldaie a gas per il riscaldamento e per la produzio­ne di acqua calda sanitaria, che incor­porassero la tecnologia della condensa­zione (riutilizzo dei fumi caldi di com­bustione).
Inizialmente sono stati concessi degli incentivi ai singoli cittadini, affinché ac­quistassero apparecchi dotati di tale tec­nologia, permettendo all'industria loca­le di creare un gap tecnologico verso gli altri produttori. La contemporanea cre­scita dei volumi ha poi abbassato signi­ficativamente i costi di produzione, ren­dendo non piú necessari gli incentivi ini­ziali. In Olanda, l'installazione di caldaie a gas a condensazione è ora obbligato­ria nelle case di nuova costruzione.

La Francia ha introdotto una legge che fa della responsabilità ecologica un elemento intrinseco del governo dell'impresa: si passa  dal volontarismo alla normativa, introducendo obblighi di rendicontazione economica, sociale e ambientale. Cfr. L.GALLINO, L’impresa irresponsabile, o.c., p.239ssg.

COMPENDIO DI DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA nn.468, 479

GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la giornata mondiale della pace 1990 Pace con Dio Creatore. Pace con tutto il creato.

Circa il ruolo della scienza economica nelle politiche ambientali, cfr S.ZAMAGNI, Economia e etica, AVE, Roma 1994, pp.121-138

Un  strumento di governance è una nuova politica fiscale.
   Le ecotasse sono imposizioni sulle discariche, sulle emissioni di inquinanti, sull'uso di risorse energetiche inquinanti, secondo il principio "chi inquina paga". Occorre rimuovere i sussidi pubblici alle attività inquinanti.
   Allorquando l'energia non riflette il danno ambientale che essa comporta, una maggiore tassazione dell'energia (che riflette appunto il suo valore "vero") potrebbe rendere disponibili risorse per finanziare impianti ed industrie tecnologicamente più efficienti e sistemi di trasporto pubblico più “puliti”e, quindi, creare nuovi posti di lavoro, in cambio di quelli sottratti all'industria ad alto consumo di energia.

Possiamo richiamare le idee di G. TULLOCK, La scelta federale. Argomenti e proposte per una nuova organizzazione dello Stato, tr. it. a cura di A. Villani, Angeli, Milano 1996, soprattutto pp. 120-147, contro il mito che le grosse organizzazioni siano sempre le più efficienti e che il mondo moderno sia così complesso da rendere necessario grosse organizzazioni.

COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA n.476

H.E.DALY- J.B. COBB, Un’economia per il bene comune, Red, Como 1994. Pare molto significativa la convergenza dei committenti dello studio sul Futuro sostenibile: la Lega ambiente tedesca (Bund) da una parte e l'istituzione della Conferenza episcopale cattolica tedesca per la cooperazione allo sviluppo (Misereor). Già questa nuova alleanza indica una via per il futuro.

Dei dieci principali fondi pensione operanti al mondo, 5 sono statunitensi, 3 giapponesi, 2 europei, mentre delle principali 50 banche commerciali coinvolte nel finanziamento di progetti di sviluppo infrastrutturale e sfruttamento di risorse naturali, ben 45 hanno la loro sede in Paesi industrializzati (USA, Giappone, Unione Europea). Si calcola che queste banche abbiano investito, nel periodo 1994-1999, almeno 224 miliardi di dollari nei Paesi in via di sviluppo (CARIEY- P. SPAPENS, Condividere il mondo. Equità e sviluppo sostenibile nel ventunesimo secolo, Ed. Ambiente, Milano 1999.).

CCC n.2438. Già la Gaudium et Spes dedica grande attenzione al ruolo dei mercati finanziari: “Gli investimenti, da parte loro, devono contribuire ad assicurare possibilità di lavoro, e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi quanto a quella futura”(n.70). Anche COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA nn.482-482

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